Il Còmodo di Re Papotto

Il Còmodo di Re Papotto

“Star comodo” nella lingua italiana significa “essere a proprio agio, in una posizione confortevole e corretta ( ergonomica si dice ora…), essere a posto e, fondamentalmente, in pace con l’ambiente circostante.
È forse da questo status che deriva il lemma “còmodo” in uso a Lucca che indica genericamente il gabinetto ( “toilette” per usare un francesismo ) nelle sue varianti più antiche e recenti, più nobili o popolari.

Certamente è più corretto utilizzare “còmodo” come un sostantivo piuttosto che come un aggettivo poiché il còmodo è un “bene”.
E, se nelle Scienze Economiche, per “bene” si intente un oggetto idoneo a soddisfare un bisogno, chi ci dice che il bisogno non sia corporeo?
Di bagni nobiliari con importanti valenze artistiche ne abbiamo molti esempi, basti pensare al Comodo di Cosimo De’ Medici…, ma il gabinetto, prima del l’avvento dei sanitari e dell’idraulica raramente si trovava all’interno delle case per ovvi motivi pratici e igienici: non c’era acqua, se c’era non si poteva sprecare, non erano presenti sistemi stagni.

Uno sfiato in laterizio antenato dei nuovi sistemi di areazione per toilettes

Un’intercapedine ovoidale porta profumi per mascherare con aromi gli “aromi” del gabinetto


Nella quasi totalità delle abitazioni consisteva in un casottino all’esterno neanche troppo vicino tanto che gli abitanti, che di solito dormivano ai piani sopraelevati, dicevano di “scendere al comodo” . Successivamente venne edificato murato in sospensione esterno alla casa, ne abbiamo traccia in molte corti rurali, a testimonianza che non era stato predisposto e che trattasi di un’appendice.
Nelle campagne era comunicante con la stalla del suino ( stallin der porco ) del quale condivideva la “buca” o fogna, un semplice contenitore manufatto di terracotta “coppo” che periodicamente veniva svuotato affinché non “stracolmasse” ossia fuoriuscisse.

Per vuotare si utilizzava il “gitto”, un barattolo fissato in cima ad un bastone; il materiale, se “maturo”, ossia adeguatamente fermentato, veniva utilizzato come concime per i campi. Il “bottino”, dal contenitore “bigongio” -piccola botte trasportabile a mano usata anche per la raccolta dell’uva- in cui veniva travasato o forse “bottino-tesoro” per la valenza economica che i lucchesi seppero ricavarne ) veniva commerciato nel contado lucchese e nei luoghi limitrofi tra cui Massa ed è valso l’appellativo ai lucchesi di commercianti in concimi ( volgarmente detto “merdaioli” ).

Tuttora l’argomento “escrementi” viene spesso dibattuto dai lucchesi, specialmente a fine pasto ed è sempre pretesto di grande ilarità e infiniti esilaranti aneddoti e barzellette. 😂😂💩💩😬😬


Il wc era una buco in uno scalino, per tavoletta una vera e propria tavoletta di legno bucata, per evitare il freddo e antigienico contatto con il laterizio, non c’erano tubature o condotte perché il “bisogno ” scendeva a cascata.

Ma se nelle campagne ed a casa propria ci si arrangiava, come sopperiva ai propri bisogni chi si recava in città ?

L’igiene, il pudore e la buona educazione consigliano di non far per strada o sotto l’altrui dimora; i vari locali, botteghe, osterie e locande, in buona parte non erano dotati di toilette ( non era di legge ) e se lo avevano non era destinata agli avventori tanto più se non-paganti.

L’ingresso di via Pescheria da via Vittorio Veneto, sullo sfondo la chiesa di San Michele


La Lucca vecchia, fino al dopoguerra ma anche quella di oggi, era dotata di bagni pubblici comunali e non, disseminati nel città; i più famosi erano quelli di via Pescheria ( traversa da via Beccheria a via Veneto tra piazza Napoleone e San Michele ) e quelli di via San Gregorio ( zona mercato del Carmine ).

I bagni comunali in zona Mercato del Carmine


Gregorio è un nome di papi , ma il nostro Papa, “Papotto”, risiedeva nei primi, era il custode del gabinetto pubblico, il “còmodo appunto, di via Pescheria.

Il soprannome “Papotto” gli veniva dalla patta rossa ai pantaloni, un rosso cardinalizio anzi papale così come la forma della “patta”, lembo richiudibile dei pantaloni, che somigliava allo zucchetto copricapo papalino.

Un’immagine “molto fantasiosa” di come poteva esser Papotto


L’accesso alle comunali latrine avveniva dietro un compenso simbolico di poche lire, una mancia proforma destinata al custode Papotto il Re dei Còmodi, di cui alcuni potevano comunque non disporre pur non venendo meno l’impellente necessità di espletare il corporeo bisogno.

Non erano rare le suppliche fatte al Re Papotto affinché fosse caritatevole e comprensivo consentendo ai “bisognosi” di entrare nei gabinetti gratuitamente: l’ultimo custode di potere temporale ( Re) e potere spirituale ( Papa ).

 


La cantilena di Papotto è il risultato dell’accostamento del personaggio ad un argomento sempre ironico se pur talvolta scurrile.

“Papotto, Re de’ Còmodi,
Fate la carità
Apriteci le porte
Che c’ho d’anda’ ‘ccaca!”

La bellissima Corte del Pesce e sullo sfondo via Pescheria, sede dei bagni di Papotto

 

il Lustro
dario.barsotti@hotmail.it
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