Arrivano le Giostre

Arrivano le Giostre

(dedicato a mia nipote Jone che ha tanto insistito perché mettessi su carta questo ricordo)

di Gian Paolo

Le Giostre

Era un Settembre sulla fine degli anni quaranta. Anche per noi arrivò il giorno che babbo ci aveva promesso: andare alle giostre. Allora le giostre erano ubicate sotto gli spalti delle mura, accanto a porta Giannotti, lato ospedale. Eravamo sei fratelo, poi diventati otto. Giovanna, la sesta, troppo piccola, rimase a casa con mamma. Non ricordo come andammo ma quasi certamente a piedi dall’INCIS percorrendo la circonvallazione allora quasi priva di traffico.

Era pomeriggio, le giostre non erano illuminate come adesso ma rimasi ugualmente affascinato da tutti quei divertimenti. La prima cosa che mi balzò agli occhi furono i prezzi che erano in bella mostra a caratteri cubitali come dire: se non ce li hai è meglio che tu giri al largo. A me che ero abituato a vivere con lo stretto necessario ed a risparmiare su tutto sembrarono esosi. Facemmo un giro di ricognizione dopodiché babbo ci chiese scegliere e ognuno cominciò a pensarci bene guardandosi intorno, visto che probabilmente più di un giro non ci sarebbe toccato, massimo due.
Ma io non ci pensavo proprio. Quei prezzi mi avevano scioccato. Babbo aveva un buono stipendio, è vero, ma noi eravamo in tanti e nelle spese stavamo molto attenti a tutto. I miei fratelli fecero via via la loro scelta e furono accontentati ma neppure la loro gioia mi fece cambiar idea anche se babbo insisteva e quasi si arrabbiava. Alla fine, mentre venivamo via, passando davanti alla pesca miracolosa, babbo mi disse: via, non vuoi neppur tentare di pescare un piccolo premio?
Insistette tanto che alla fine accettai. Riuscii a far passare l’anello della canna da pesca attorno al collo di una piccola anatra bianca ed a tirarla su. I miei fratelli, che avevano fatto il tifo per me, urlarono di gioia. Dal numero sotto l’anatrella uscì il verdetto. Ebbi così il mio pesciolino rosso in un sacchetto trasparente pieno d’acqua.

Me lo portai dietro con la stessa cura con cui avrei tenuto una reliquia.
Arrivato a casa lo misi nel vaso di vetro e subito appoggiai l’ostia sulla superficie dell’acqua come il giostraio mi aveva detto di fare per due volte al giorno per alimentarlo. La osservai mentre lentamente si disfaceva e rimasi imbambolato e felice a guardare per chi sa quanto tempo quell’esserino che scodinzolava lentamente nel suo elemento. Sembrava felice della sua nuova casa.
Passarono alcuni giorni e molti vennero a trovarci perché fra i bambini dell’INCIS, in giardino, si era sparsa la voce del pesciolino. Venne anche Giovanna e quando seppe del cibo che davo al pesciolino mi rimproverò sicura: ma sei matto, per i pesci c’è un cibo specifico che oltre ad alimentarli li difende dalle malattie. Se continui a dargli l’ostia prima o poi ti muore. Insistette tanto che il giorno dopo andai a comprare il cibo, una polverina grigia con un odore nauseabondo, in una piccola scatola tonda di cartoncino. Ne versai sull’acqua nella quantità indicata. Al mattino successivo trovai il mio pesciolino in fondo al vaso piegato in due, morto stecchito. Non gli avevo ancora dato un nome.
Provai delusione e dolore e piansi. Ed è stato il primo ed ultimo pesciolino rosso della mia vita.

Testo di Gian Paolo Licheri

Foto archivio dell’autore

il Lustro
dario.barsotti@hotmail.it
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