Salo’ e il Foscolo poeta

Salo’ e il Foscolo poeta

C’era uno ar bare,

Lo chiamavin “Salo’”

Ch’ era un popo’ curioso

Ni sembrava di vede’ le cose

Ma se le sentiva lu’, forse;

Lo chiamavino così
Perché era un popo’ di destra,
E pogo in tutto era durato
Come vella repubblica.
La licensa media
in San Ponziano
L’aveva presa
A coppie d’ova
E aveva preso
Ancho tanti nocchini
Lu’ che veniva dalla ‘ampagna
Tra figlioli di senatori e architetti.
Voglia di lavora’ po’
Sartini addosso
Perché ‘un durava
A fa’ guasi nulla.
Po’ si vestiva
Colla stessa roba
Degli anni ‘70
Che erano stati
I su’ tempi gloriosi.
Sicche’ ch’aveva i pantaloni
Bianchi a piede a elefante
Tutti strinti sulle coscie
E sul culo,
E li stivali col tacchetto
E la cerniéra drento.
Con la maglia a Serafino
sembrava guasi uno del clan di Celentano e al petto un crocifisso grosso con una bella ‘atena.
I capelli, tutti incotonati
Indava a sistemalli
Fatti a nidio di chiuino
Da una parrucchiera a Santa Maria
Quando indava fori,  al bare,
Per fumare le su’ Alfaboxe,
Si metteva a gambe larghe
Inpiedi a culo infori
E canticchiava
Il su ritornello
Che faceva
“La, la, laaa…la, la, laaaa”
Che poi tradotto
Nella musica del frauto
Sarébbe:
“Mi, sol, laaa… mi, re, Doooo ( greve)”.
Insomma tutte le settimane
Ne inventava una delle sue
Ma roba artistica, guarda!
Che un sapevi se ride o fanni l’applausi:
Quando aveva trovo
Una serpe d’un quintale
Ma po’ n’era scappata
‘Un si sa come
Quando un fantasma
A una finestra
Mentre era a piscia’
Contro un muro.
Quando varche donna
Che l’aveva chiamo in casa
A fanni vede’ un lavoro
Che poi era sempre roba da tromba’.
Ma tutte istorie
Fatte a arte
Con i parti’olari dettagliatti
E con innomi!
Vesta vorta aveva rinvensuto
Un libbro del su’ tartaranonno
Che drento c’era un follio;
Ma robba pressiosa, veh!
Di valore perché l’avivan nascosto
Diettro a un cassettto
In una cantora di noce,
O di faggio ( ‘un lo sapeva )
La casa era del su’ sio
La doveva vende
Per paga’ r geometra
Che n’avanzava.
E lu’ indava a dì
Che era del Foscolo
A quelli del bare
Che sapevin assai chi fusse.
E se l’avessin ancho saputo
Sai quanto ni fregava
Del Foscolo poeta
Con tutti i su probblemi quottidiani!
Ci provó per tre sere
Ma la gente gioava a carte
E ch’aveva le su’ seghe
E ‘un lo ca’ava.
Chie il pallone o i cavalli
Chie la Coffe o la manifattura
Chie la moglie o la su’ socera
Chie i fungi o d’anda’ a pesca’.
Alla fine, sai che fece?
Lo portiede in banca
In una cassetta di si’uressa
Chiusacchiave.
Disse ch’era un lascito
Per e su’ figlioli quand’erin grandi.
Ma poi ‘un si sposó mi’a
E ancho figlioli ‘un ne risultano.

Il manoscritto rinvenuto da Salò

 

 

Libro ai piedi v’èro

il primo giorno stanco

altrui cadaveri contando

in centro tutt’or misèro.

Deserta Lutecia Pari

a sepolcro Lasciai

sorda la piazza fascia

degli ori strani.

Sott’i poggi cane trascina

un fumo delle piogge prima

di bianco capillar vie bagna;

Il Bastardo al posto lagna:

Bosogna sì tra este mura

trovar locand’ et apertura

Una cartina storica di Lutecia, Parigi, alla quale il presunto Foscolo assimila Lucca, rifacendosi agli studi che attribuiscono le origini di Lucca, Parigi e Vienna allo stesso popolo. Fonte non documentata. Ben visibile il cimitero Lachaise  citato.

il Lustro
dario.barsotti@hotmail.it
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