La dimensione di Pinocchio

La dimensione di Pinocchio

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“Voglio servirmene per fare la gamba di un tavolino!”

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La dimensione di Pinocchio è senz’altro una dimensione fantastica ma anche umana.

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Definendola “umana” come non associare questa straordinario viaggio fatto di avventure ad una evoluzione esistenziale dell’autore stesso, compiuta tra le varie peripezie che si compiono nella vita di ciascun uomo?

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La capacità dello scrittore, che è poi un’arte, l’arte del narrare, è il mezzo per dare sfogo all’esigenza sociale di comunicare.

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Trattando di Pinocchio, poco importa se il messaggio sia più o meno palese, finalizzato, politico, morale o soltanto romanzesco.

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È indubbio che il Lorenzini abbia arricchito il più famoso burattino al mondo con un po’ di sé, del piccolo Carlo, dell’adulto Lorenzini e soprattutto dell’alter-ego Collodi.

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L’autore approda al libro quasi sessantenne dopo un percorso letterario di tutto rispetto fatto di libri per ragazzi, lavori per il teatro, romanzi e anche poesie.

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Amo pensare che il piccolo Carlo, trovandosi dalla madre, maestra presso Villa Garzoni, si recasse con i Signori di Collodi (che tanto lo avevano a cuore da farlo studiare) nella nobile Bagni di Lucca e che qui avesse appreso della storia e delle leggende della splendida Val di Lima.

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Questi luoghi, i loro miti e personaggi credo abbiano seguito il ragazzo, nel suo cuore (di legno di pino), fino all’età adulta, il cuore di una persona intelligente ed attenta (ma soprattutto dotata di una sensibilità unica). 

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L’uomo, trovandosi a viaggiare nella provincia lucchese per motivi di lavoro, li ha poi riscoperti con uno sguardo più maturo ma non meno attento e disincantato.

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A questo punto, forte dell’esperienza del suo vissuto (e di una capacità artistica ormai affermata) ha deciso di condividere in questi racconti un po’ di Carlo, un po’ di Lorenzini e molto Collodi (con questo pseudonimo ha firmato “Le avventure di Pinocchio” e quindi il libro).

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Pinocchio bambino, tutto occhi e dentoni “a pinelle” con il cappello di “bolordino” di mollica di pane, il vestito di carta fiorita, doverosamente gigliata fiorentina ( la più in voga ), sul retro Carlo Lorenzini dall’icona classica, in bozza il ponte di Ponte a Serraglio. Tutto incastra in questa versione…persino il cappello nella volta del ponte.

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Si sa, leggendo un libro dopo che lo si è visto rappresentato al cinema, nei fumetti, al teatro, nei cartoon e nelle illustrazioni, la nostra percezione della storia e dei personaggi rimane un po’ alterata, come se fosse condizionata dagli occhi di un’altra persona…

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La cosa più affascinante di un qualsivoglia libro ritengo sia la novità, la varietà, l’esclusiva interpretazione che esso assume in ciascun lettore, giovane o vecchio, colto o ignorante.

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Tutti noi, seguendo Pinocchio, abbiamo mentalmente figurato una certa fisionomia per il burattino, riconducibile ad una sorta di bambino dal fisico esile, ginocchia e gomiti snodati, lungo naso a punta, pantaloni al ginocchio e cappello a punta. 

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Ma un bambino scolpito da un pezzo di legno che altezza potrà mai avere? Probabilmente non più di circa 60 centimetri considerata la portatilità e la lavorabilità della materia grezza. 

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Non a caso il primo proprietario del legno animato, il falegname Maestro Ciliegia, voleva fare del pezzo il gambo di un tavolino.

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La dimensione del cranio potrà essere quindi, in proporzione, quella di una pigna di pino, un “pinello” come si dice in lucchesia. Quando Pinocchio si mette in capo la parrucca di Geppetto ne rimane quasi affogato.

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Lo stesso pinello che, disposto con la punta verso il basso costituirebbe l’ovale del volto , sistemato verso l’alto potrebbe servire come “forma” su cui lavorare della mollica di pane per ricavare un cappello.

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In questo caso il colore del copricapo, al contrario di quanto rappresentato talvolta nelle illustrazioni, nei cartoni animati, nel merchandising e nella filmografia potrebbe essere più verosimilmente il bianco.

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La faccenda del legno, quindi dell’albero e, perché no, del pino, non sarebbe altro che il legame con la terra che caratterizza ciascun individuo, ancorandolo al mondo con le radici, quindi al suo mondo o micro-mondo che è rappresentato dal suo territorio, dalla sua cultura, dalle tradizioni e dal tipico idioma.

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Il parlato dei personaggi di Pinocchio è spesso influenzato da lemmi, cadenze, sintassi splendidamente vernacolari sebbene il racconto abbia avuto una diffusione (o meglio, dimensione) planetaria.

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Il parlato di Geppetto, come avviene per quello del padre di Carlo, è quello fiorentino.

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“Gli è con questo bel garbo…?”

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La cadenza ed i lemmi che si incontrano successivamente sono un po’ lucchesi e un po’ toscani è spesso arcaici.

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Ed il viso?

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Trattandosi di un bambino, o di un burattino ad esso verosimigliante, chiunque abbia un po’ di praticità con il disegno sa bene che nel volto degli infanti gli occhi sono molto più grandi che negli adulti. 

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La psicosomatica qui corre in aiuto, identificando, nei soggetti i cui occhi sono per dimensione e intensità predominanti nel volto, la casistica dell’uomo “orale”, un individuo con la tendenza a caricare il proprio carattere e modo di agire con grandi emozioni.

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Un uomo (o un bambino-burattino) , insomma, il cui punto focale ed energetico sia la testa, maggiormente dimensionata e vitale rispetto al resto del suo corpo. 

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Una pigna o “pinello” appena”ruscolata”

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Altro elemento normalmente predominante nel volto di questo individuo sarà la bocca, un po’ come in tutti gli infanti, soprattutto nei soggetti orali la cui necessità di comunicare la propria emotiva interiorità è cosa vitale. Una bocca grande e, con molta probabilità, ricca di denti dove, i due incisivi centrali “di latte” siano anch’essi molto appariscenti. Due “pinelle” (come si dice a Lucca) di un ragazzo di carne (o legno) secco e lungo come il gambo di un tavolino. Per citare un altro termine tutto lucchese un “pinellone lungo e biscaro”.

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E il nome?

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Da qui il corso è breve: nel crudele rituale dei bambini di “appioppare” soprannomi ai coetanei, definire un amico “pinelle e occhi”, “pinellocchi”, “pinocchi” o “PINOCCHIO”, è un gioco da ragazzi!

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de Il Lustro

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Alcuni pinocchietti in legno, secondo l’icongrafia più in voga tra la versione dlle prime illustrazioni e quella disneyana.

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il Lustro
dario.barsotti@hotmail.it
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