La cóppia di Viareggio, Gavorchi e bruttezza

La cóppia di Viareggio, Gavorchi e bruttezza

La cóppia di Viareggio

En la cóppia di Viareggio,

Un gavorchio e ‘n canterale

Il laveggio e l’orinale,

Uno è brutto e l’artro péggio

Com’un calcio ‘n un prunaio

Ch’un si sa che sòrte fòri

Bisce, bodde -che lavori!-

Che li carica ‘r Bruttaio:

mette dietro sull’apino

E li porta a Carignano

Per la fièra de’ śittelli.

Lì ti strusci un popoino

E Trovi moglie del tu’ piano:

‘Un importa brutti e belli .

Il detto lucchese sulla coppia di Viareggio, dove un soggetto non è bello e l’altro lo supera in bruttezza si deve probabilmente alla rima baciata tra “Viareggio” e “péggio”.

Si dice anche, e questo in tutta Italia, “mógli e buoi de’ paesi tuoi”, perché le ragioni della nostra cultura territoriale, influenzano il pensiero, i gusti e le scelte.

Tra queste anche la scelta dei propri compagni di vita.

Si stima che l’unione affettiva sia più duratura e “sopportabile” se il rispettivo compagno appartenga al nostro stesso bacino, in quanto culturalmente più simile a noi stessi.

Nel caso lucchese il piano o la piana sono un ambito ben delineato.

“Chi si somiglia, si piglia”

Si vede “bello” ciò che ci è famigliare e si ricerca sempre una strada già battuta e sicura emulando quelle che erano le abitudini dei nostri genitori e dei nostri vecchi.

la borgata del Giannotti con Gosto e Mea,una cóppia inseparabile

La Lucca di qualche decennio fa, e per certi versi anche quella attuale, era divisa in “fòri e drento”.

Era comune che chi abitasse dentro la cerchia muraria si accasasse con un partner del centro storico.

Per il fuori, il contado, avveniva lo stesso soltanto che, non essendo distinzione tra paese e paese ( sempre di Sei Miglia si parlava ) “l’accoppiamento” poteva avvenire tra persone di frazioni diverse.

Trovar moglie o marito fuori dalla piana era cosa rara, poiché si consideravano questi potenziali partner come troppo diversi nello stile di vita e quindi potenzialmente “inaffidabili” nel quieto vivere del rapporto.

Figuriamoci ad accasarsi con una ragazza o un ragazzo “forestiéri” che ad esempio arrivassero dalla “lontanissima” e “diversissima” Viareggio!

Sul bello e brutto non si discute benché vi siano oggetti che, per antonomasia, vengano considerati anonimi, insignificanti, imperfetti e sostanzialmente BRUTTI.

“De gustibus” ovvero i gusti son gusti!

“Sant’Antonio s’innamoró del porco”

Un bel gavorchio di circa 20 cm – foto Giovanni Sani

Il “gavorchio” altro non è che un chiodo di fabbricazione fabbrile utilizzato nella carpenteria. L’artigianalità del prodotto ( e le esigenze di sfornarne velocemente ed in gran quantità ) rende ciascun pezzo diverso dall’altro e sostanzialmente imperfetto. Per questo il chiodo-gavorchio viene reputato brutto. A Lucca il gavorchio è un soggetto o un oggetto non bello, un impiastro, una cosa che “ ‘un ha un verso” , “‘un ha un garbo”.

Famosi quelli di Gombitelli.

Gavorchio è anche il nome d’arte di un poeta vernacolare che da tanti anni è molto attivo con tanti progetti tesi a valorizzare la nostra parlata: concorsi di poesia, veglie ( incontri serali paesani nelle corti rurali…) ecc.

Il “canterale” che sarebbe il cantorano è un mobile in legno fatto a cassetti in cui normalmente si riponeva la biancheria ed i corredi nuziali delle ragazze da marito.

Come il “catafalco”, struttura che sorregge la bara, è cosa ingombrante e informe ( “Pare ‘n canterale” ).

Il “laveggio” è invece un pentolone di rame che si usa per cuocere la polenta all’interno del camino. Ne parlò anche Giovanni Pascoli in una sua poesia…A differenza del “tegame”, termine usato anche in modo dispregiativo per alludere a una donna di cattivo costume, è un oggetto grande e non slanciato perché di forma cilindrica e larga ( “Bada laveggio che è lellì” )

L’”orinale” è il vaso da notte che raccoglie urina e feci. I bagni nelle abitazioni lucchesi arrivarono in tempi relativamente recenti ( vedi gli articoli #comodo ) quindi l’orinale , pessimo spettacolo da vedere rappresenta un elemento schifosamente inguardabile ( “fai recie come un orinale” ).

Il “prunaio” è invece la macchia dei pruni, rovi, che hanno logicamente le spine e sono pieni di insidie.Una degenerazione del bosco o dei campi incolti ( e trascurati ) dal quale può uscire di ogni cosa: Serpenti, rane, uccelli, animali selvatici ed, evidentemente anche persone talmente brutte da essere considerate alla stregua di questa ignobile fauna. 

“Di dov’en sortiti lorolì?!? 

O che han dato un calcio in un prunaio?”

Il bruttaio è una figura di fantasia; un mestierante che dovrebbe ipoteticamente raccogliere le persone brutte per caricarle sul suo mezzo, ad esempio un’ Ape Piaggio, come il ferracciolo o l’arrotino, per portarle a rottamare.

In questo specifico caso porterà questi “brutti” ( scapoli e zitelle) alla fièra di San Biagio di Carignano dove, sembra, oltre a servire degli ottimi tordelli, fosse comune andare a cercar marito ( o moglie ).

“Oh San Biagio, bello e biondo, fammi trova’ marito che un altr’anno ritorno !”

“Oh San Biagio biondo e ardito fammi trova’ marito….”

Il tutto è romanticamente decantato in una poesia vernacola di Cesare Viviani, il nostro gran poeta!

Titolo;

 

“San Biagio a Ccarignan’”

…per trovà marito e moglie…

da “Paesi dell mi’ tèra” 

MPFazzi editore

dal finale sarcastico:

“Io a Carignan viensi per mangià

e doppo pogo mi trovai ammogliato.”

Il Biagio omaggiato a Carignano oltre ad essere il protettore della gola, con due candele incrociate il prete pronunciava la frase di rito “segnando” la gola, è un santo bello e biondo rappresentato con la mano destra alzata a indicare con le dita il numero 3. Dalla leggenda sembra che significhi la sua capacità di far trovare marito a tre donne all’anno.

il Lustro
dario.barsotti@hotmail.it
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