Papà o pappà?

Papà o pappà?

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Tra le due versioni la prima è corretta in italiano mentre la seconda è una storpiatura vernacolare più tipica dell’area lucchese e soprattutto capannorese.

La parola “babbo” ,che ricorda un po’ la favola di Pinocchio, è più toscaneggiante ed oltre  che nel pesciatino è diffusa nel pisano ed in tutta la Toscana.

Questo post di Giuseppe Pardi ( foto e testi)  rievoca i modi di dire e la tradizione legata a San Giuseppe ed alla festa del papà del 19 marzo

Lustro

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La festa del pappà!

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San Giuseppe frittellaio

( È tradizione preparare le frittelle )

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Beppe mela va a fà pera
e ci lascia lo szampin,
Beppe mela è un assassin!
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Beppe dalle chiappe vecchie.
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San Giuseppe ha la barba bianca

(nel senso che di questi tempi la neve non si è ancora arresa)

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E a Nozzano Castello, i Beppi venivano festeggiati essendo pure la ricorrenza del Patrono, con dedica di un sonetto come successe a mio nonno il 19/3/1937 (in foto). Da notare, che poi si festeggiavano tra loro essendo i festaioli tutti di nome Giuseppe.
Nelle altre foto si vede il “fiore di San Giuseppe” (Bergenia) che è in questi giorni in tutta la sua bellezza.

Ma San Giuseppe è pure la festa del pappà, come si dice a Lucca.
Mi ricordo che sentivo raccontare una strana storia di… cornuti o pèori o becchi, come pure si dice. Eccola servita.

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Il marito un era mia tanto siguro che ‘l su’ bamborin fosse anco suo! Suo, sì, ma… di su’ mà?
Ci rimuginava e un trovava poso di giorno e di notte. Al bare ni parea d’esse osservato e che facessin pio pio alle su’ spalle.
“Così un si pole più andà avanti! Mi par millanni di tornà a casa e ragionanne con la mogliera. Il toro va agguanto per le orna! Orna? Io lai,… che c’entrin le orna? O se c’entrassin davero? Mi ci vorebbin anco velle e sarei bell’ecche ito!”
E ecchelo di passo lesto a casa e inviino a quistionà.
“O Argenia, ma mi dici, ma il piccin! Da vella vorta ch’erimo in cambora… Hai nteso no? Un è nato un po’ troppo alla sverta? Bello tondo e ciccioruto, un mi par mia settimin? O che mi sai dì?”
Lè si sentitte diaccià. Ma è in questi casi che la furbissia vien fori e lè n’aveva propio da vende!
“Cecco, ma un ti riordi? Perappunto, erimo a Marso! Te segue i mmì diti e ti faccio vedè quanti mesi l’ho porto in grembo, il nostro Angioletto di nome e di fatto! Marso (Pollice, 1), Catarso (Indice, 2 ecc ecc), il mese di Marso e fan già 3. Aprile (4), Godile (5), Il mese d’Aprile (6). Enno séi! Maggio 7,. Giugno 8, e ora che siam a Luglio èn 9. E ora me lo vorai fa’ ffa’? Enno 9 hai nteso? Sta bbono che è tuo!”
“Te a contà sei brava, anco la maestra lo diceva. Allora si pole rassicurassi?”
“Ma che t’è viensuto n mente! Via giù, un bacin! Il bamboro s’è addormo! Un mi si staccava mai dalla puppora! Propio su’ pà: a parpeggià è l’asso di briscola! Giù, montian le scale e si ontinua il discorso su di sopra….”

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E questa è una mia poesiola in vernacolo che riassume a modo suo il racconto.

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19 marzo, capri e capricci

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Nel ricordo della festa del pappà
un ti scordà di ripassà du’ conti
se il dubbio rode che un abbi a quadrà
giorni e mesi, ma sensa facci sconti!

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Il nove ti par lungo o troppo breve?
Il tempo è quello, caro il mì Cecco!
Ma ti di’o: “Un ti buttà sul béve!
Vien con me nel clubbe, povero becco!”

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Passato qualche anno…

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“Vieni pappà, c’è il dolce, è la tu’ festa!”
“La mia o di vellartro? Ma po’ perchè
mi sento du’ duroni sulla testa
nel pettinammi? È festa? Diorsapè!”

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testi e foto di Giuseppe Pardi

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il Lustro
dario.barsotti@hotmail.it
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