Sei di Lammari Forte

Sei di Lammari Forte

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Sembra’

 e non esse’

È come fila’

E non tèsse.

 

( Detto lucchese )

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La Lucca città della seta, anticamente legata al settore tessile mantiene una sua coltura popolare e alcuni modi di dire come questo che indica come l’apparenza spesso inganni ed il vivere solo di immagine ( o facciata ) sia spesso fuorviante.

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Il vernacolo lucchese, la parlata originaria di Lucca, è poi un idioma debole in quanto molto più dolce rispetto ad altre forme dialettali o allo stesso parlar toscano, regione d’appartenenza che molto influenza la nostra lingua.

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I lucchesi delle terre di confine, adiacenti alle province limitrofe, modificano il loro gerco con locuzioni tipiche del territorio vicino e, andando a discutere certi termini su gruppi interessati al vernacolo, si dibatte spesso Se alcune parole siano o meno lucchesi in toto.

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E la nostra cultura?

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Già ne ho parlato nel sonetto “Lucca ‘gnuda” che, decantando la bellezza del centro storico in inverno quando gli alberi sulle Mura sono spogli, sottintende anche il grave rischio di spogliare la città del suo verbo e dell sua anima.

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C’è poi una forma di vergogna, immotivata a mio parere, di esternare la propria lucchesità nel parlato con persone “foreste” o in ambito più professionali e ufficiali.

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I bambini e ragazzi rifiutano il vernacolo associandolo ad una dimensione provinciale e disdegnano il dialetto dei vecchi, che in molti casi non hanno potuto studiare, pensando sia una forma verbale da ignoranti.

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C’è poi chi finge di essere chi non è per darsi un tono e lo fa quindi dialogando con inflessioni non proprio tipiche lucchesi ( nè toscane ) ma caricaturandolo con accenti più trendy come il milanese.

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Andando in giro per la lussuosa Forte dei Marmi, località turistica di mare e colonia della Milano bene ( prima che del turismo sovietico attuale ) può capitare di incontrare persone lucchesi che, per sentirsi più alla moda, parlino con accenti “padani”

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Questo sonetto alla méglio ( cioè come mèglio viene) affronta questo spinoso argomento e narra di due lucchesi, magari “capannorotti” di Lammari, che si scoprono nella comune finzione della conversazione, compaesani stretti e “lammarotti forte” ( cioè parecchio di Lammari ).

Il “nòvo di trinca” significa “nuovo di zecca” appena tolto dalla confezione ( guscio ).

Chi ha “sciorto”( sciolto ) questi personaggi invece matti da legare?

Perché debbono parlare così “togo” ( strano/buffo ) se provengono dalla stessa terra?

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Capita su social tipo Instagram che followers conterranei lascino commenti ( anche seriali ) in inglese…

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Ma non si potrebbe parlare come si mangia???

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Sei di Lammari Forte

( ‘un fativi fregà da certe fie )

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Gilè novo di trinca

Scarpe lève dar guscio

Tutto tirato a lustro

-lavata la mi’ Simca-

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Son ito a giro al Forte

A vede’ la sitaśzione

di giovini e tardone 

E chie l’aveva sciorte.

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Ar bar martello vesta 

Che parla milanese…

“Sai io són nella moda…”

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“Mi dici ‘n po’, oh trebesta,

Se sei di Lammari paese

O com’è che parli tòga?!”

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il Lustro
dario.barsotti@hotmail.it
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